Il Parco Nazionale interviene sul faggio monumentale di San Romano Garfagnana

( Sassalbo, 29 Maggio 2020 )

L'albero monumentale è un sistema vivente complesso, un individuo unico che va accompagnato con la massima attenzione nel suo naturale processo evolutivo, anche quando l’albero si avvia a morire. Questo perché, nel ciclo delle cose, anche quando un gigante ad alto fusto muore mantiene un ruolo importante nell’ecosistema in cui è inserito.

Il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano ha un importante patrimonio di questi monumenti, uno in particolare sta richiedendo specifiche attenzioni. Si tratta del Faggio di Mannolini, posto in Garfagnana nel Comune di San Romano, località Capanne Capringnana, al confine della Riserva Naturale dell’Orecchiella.

 Si tratta di un ‘faggione’ di 26 metri di altezza e circa 4,5 metri di diametro: un vero gigante che è diventato dimora di tantissimi animale, anche di predatori che nei sui nodi e anfratti nascondono le prede. Per questo l’opera di conservazione iniziata è utile per mettere in sicurezza la pianta da eventuali cadute di rami, ma anche per mantenerne le funzioni, non ultime quelle di sostenere tutti gli organismi che, nutrendosi di legno morto, partecipano al ciclo del bosco.

 Purtroppo la situazione del faggione, riscontrata dagli esperti messi in campo dal Parco Nazionale, ha evidenziato un grave deperimento che ha già portato alla morte di gran parte della chioma. La corteccia è completamente degradata e appare staccata dal tronco con conseguente morte dei tessuti cambiali. Non sono presenti patogeni particolari anche se è visibile, su una branca tagliata, un comune agente di degradazione del legno. Mentre le radici sembrano ancora in buono stato e abbastanza salde.

 La pianta si può considerare alla fine del suo ciclo e quindi è potenzialmente pericolosa per l’alto rischio di rottura dei rami, mentre il fusto è ormai avviato ad un lento decadimento. Si è ritenuto, così, di intervenire per garantire la sicurezza e aiutare l’albero a mantenere quel poco di vitalità che ancora possiede. Al momento la cosa più importante è mettere in sicurezza l’area sotto la pianta e le strutture prospicienti, visto che il faggio si trova su proprietà privata.  

 Le operazioni di potatura sono state compiute senza compromettere in modo sostanziale l’ecosistema, per questo i monconi secchi e cavità presenti non sono stati eliminati, per garantire il ruolo di vero e proprio serbatoio di diversità che l’albero ha ormai assunto.

Per fare i tagli il Parco nazionale si è avvalso della collaborazione di un potatore arboricolta esperto, vista la difficoltà oggettiva e la pericolosità dell’operazione.

 “Nel nostro Appennino – spiega Giuseppe Vignali, direttore del Parco Nazionale – purtroppo i vecchi alberi sono pochissimi poiché più di un secolo fa la foresta fu completamente tagliata. Per questo è molto importante cercare di conservare più a lungo possibile quelli che ci sono: per il bene della natura che ospitano e anche per la loro straordinaria bellezza che fa bene alla nostra anima. Il faggio di Mannolini andrà monitorato nel proseguo della stagione vegetativa e sostenuto con degli interventi ad hoc successivi. Però va precisato che, viste le condizioni di partenza, non ci si possono aspettare miracoli: l’obiettivo sarà quello di mantenere un minimo di vitalità e di rendere sicura la struttura per i prossimi anni di lento degrado, mantenendo la funzione ecologica dell’albero, unico nel contesto e vero serbatoio di biodiversità. Gli interventi che abbiamo previsto si possono realizzare grazie alla proprietà nella quale è inserito l’albero e al Comune di San Romano Grafagnana che ringraziamo per il supporto e la collaborazione.”

Nei pressi del ‘faggione’ sarà posto una tabella informativa. Il testo è stato realizzato dal responsabile del Servizio di conservazione della natura del Parco Nazionale, Willy Reggioni 

Sono un faggio vecchio di secoli.

Alla mia età temo di più le attenzioni dei funghi e degli insetti ai quali offro parte degli antichi anelli che formano il mio fusto, ma soprattutto temo la forza del vento e il peso della neve.

Fatico ormai a reggermi in piedi ...sono più vecchio di tutti gli altri faggi di questa foresta.

Sono vecchio,  anche se non vecchissimo. Ho centinaia di nuove gemme e apici radicali che dialogano tra loro e con altri ospiti che incontrano nel profondo del suolo,  e con loro concertano e riorganizzano, ma non progettano più.

Le radici che mi hanno accompagnato per secoli sono ormai esauste e la carie ha svuotato parte dei miei stanchi rami, minacciandone la stabilità.  Dentro ormai sono vuoto, ma adesso offro riparo a uccelli, insetti e mammiferi. Sono morente fuori, sopra e sotto, ma pieno di altra vita al mio interno.

Sono più vivo di pima, ma dovevo trovare un nuovo equilibrio energetico e per questo ho iniziato ad "autoridurmi", sacrificando alcuni grossi rami e gran parte di quelli periferici. Scelgo con attenzione dove far germogliare le nuove foglie.

Sono impegnato a farlo nel modo e secondo ritmi di cui sono capace, quelli che conosco perché ereditati nel corso dell’evoluzione, ma rappresento un pericolo per chi mi si avvicina. Per questo sono stato aiutato a guardare al futuro grazie ad alcune potature.

Sacrifico più velocemente il superfluo grazie alla mano sapiente dell’uomo che mi vuole meno pericoloso,  ma che al tempo stesso  riconosce la mia importanza ecologica, biologica, culturale e testimoniale.


Vogliamo poterci stupire ancora per molto tempo di fronte a quanto di meraviglioso si cela negli alberi più vecchi.

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