Il ritorno del lupo in Appennino

Il caso dei lupi “mangiacani” ad Albareto

( Sassalbo, 25 Gennaio 2015 )

Come ha fatto il lupo a tornare in Appennino? E’ tornato per mano dell’uomo? E’ vero che anche i parchi hanno liberato lupi? Willy Reggioni, responsabile Wolf Apennine Center del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano analizza queste questioni alla luce degli ultimi accadimenti. Riportiamo qui il suo intervento.

Trovo abbastanza anacronistico nel 2015 che qualcuno ancora affermi o più abilmente lasci intendere che il lupo è tornato su tutto l’Appennino e su gran parte dell’arco alpino per mano dell’uomo. Sono spiacente, ma non siamo stati così efficienti. Dico non siamo così efficienti perché normalmente la responsabilità, nel senso di “colpa”, viene attribuita ai parchi. Nell’immaginario collettivo sono i parchi o genericamente i verdi che liberano animali, in genere con una straordinaria preferenza verso quelli “brutti e cattivi “, ovvero per quelle specie che il mondo venatorio ancora oggi chiama nocivi perché la legge così le classificava sino al 1992. Proprio quei nocivi che con molto sforzo in passato sono stati eliminati dall’attività salvifica dei cacciatori, allevatori e agricoltori oggi sono ritornati a popolare le nostre montagne e poiché non se ne comprendono le vere ragioni risulta molto più facile e credibile attribuire la responsabilità ai parchi e ai verdi. Nell’immaginario collettivo sono sempre i parchi e/o i verdi che “tifano” per la natura selvaggia e si pongono sempre contro l’uomo e le sue attività. Tanto è vero che quando si istituisce un parco la popolazione locale ritiene che questo coincida con la fine, la fine di tutto ed in particolare la fine della civiltà montanara, a favore della natura e quindi della civiltà urbana e di quelli che studiano sui libri. Il ritorno di natura è vissuto come una sorta di abbandono anche da parte delle istituzioni. In realtà sarebbe più corretto dire che il lupo è tornato su tutto l’Appennino nonostante i parchi e i verdi, o meglio nonostante l’immobilismo dei parchi sul fronte della conservazione del lupo e le aspre battaglie degli ambientalisti sostenute fin dagli anni ’70.

Il lupo è tornato perché si è mostrato più abile e più preparato di altre specie a sfruttare l’occasione che l’andamento economico sociale che ha caratterizzato l’Appennino negli ultimi 40 anni gli ha offerto: lo spopolamento della montagna. Quando la stragrande maggioranza della popolazione viveva di agricoltura e allevamento, ogni elemento che interferiva con le produzione veniva sistematicamente eliminato. Caprioli, cervi, cinghiali e quindi anche i lupi sono stati eradicati da una forza lavoro immensa (agricoltori, allevatori e cacciatori) perché in conflitto con il reddito di tutte le famiglie che vivevano in montagna. I cambiamenti socio-economici, che hanno portato al progressivo spopolamento della montagna, hanno infatti portato con il tempo un minore presidio della montagna che a sua volta ha permesso un incremento del bosco e del numero grandi ungulati selvatici ovvero le condizioni ideali per il ritorno del predatore.

Ma perché il lupo e non altre specie? Perché spesso si argomenta così! Se fosse vero che il lupo è tornato spontaneamente perché allora altre specie come la lontra, l’orso, la lince…..ma anche la starna, la cuturnice non sono tornate? Questo legittima il pensiero che i lupi siano stati reintrodotti per mano dell’uomo.

Il ritorno spontaneo del lupo in Appennino è stato possibile anche grazie a caratteristiche intrinseche della specie che le sono proprie e che le altre non hanno. Il lupo infatti vive in branchi che occupano un territorio in forma stabile ed esclusiva e che difendono da altri lupi e branchi. Nel branco, inoltre, solo un maschio e una femmina si riproducono. Questi sono conosciuti come la coppia dominante (alfa). Tutti gli altri individui del branco non si riproducono, anche se sono adulti. L’impossibilità a riprodursi, in conseguenza all’appartenenza ad un rango diverso da quello della coppia alfa ovvero minore nella scala gerarchica, spinge molti di questi lupi (giovani, sub adulti, ma anche adulti) ad abbandonare il gruppo familiare e ad andare “soli” in cerca di fortuna ovvero di un territorio idoneo per caratteristiche di ampiezza, copertura e disponibilità di prede, non già occupato da un altro branco, con l’obiettivo di occuparlo con un altro animale (probabilmente in dispersione anche esso) e formare una nuova unità riproduttiva. Questa straordinaria organizzazione sociale del lupo, la sua sorprendente capacità di adattamento ai diversi contesti ambientali e la rinaturalizzazione del territorio sono le vere ragioni per cui il lupo, in 40 anni, è stato in grado di ricolonizzare spontaneamente tutto l’Appennino, dall’Aspromonte alle Alpi marittime e ora anche gran parte dell’arco alpino. Incredibile vero? Talmente lontano dalla nostre capacità di comprensione, nonostante il meccanismo sia semplice, ben descritto e documentato in ambiente scientifico, che stentiamo ancora a crederci. Anzi non è che stentiamo a crederci, proprio non ci crediamo. E’ più semplice pensare che li abbiano liberati. In realtà ogni volta che ragioniamo del ritorno del lupo per mano dell’uomo perdiamo tempo. Perdiamo tempo prezioso che invece dovremmo dedicare alla ricerca delle soluzioni ai problemi legati al suo ritorno in un territorio che si è fatto trovare impreparato.

In questo contesto ed in una prospettiva di convivenza possibile uomo-lupo, il Wolf Apennine Center del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano come opera e con quali obiettivi?

L’obiettivo è superare i conflitti di competenza anche territoriale e tentare di avere un approccio coordinato e standardizzato alla soluzione dei problemi sollevati dalla presenza di questa specie in aree antropizzate.

Il Wolf Apennine Center è un centro permanente di riferimento istituzionale per la gestione coordinata e condivisa dei problemi legati alla presenza del lupo su larga scala geografica. E’ una sorta di costola del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano ed è organizzato in quattro settori con specifiche competenze:

settore sanitario, con competenze generali riguardanti il recupero di lupi feriti e/o avvelenati; il recupero di lupi morti e l'analisi delle cause di morte; la collaborazione alle attività antibracconaggio coordinate dal CTA del Corpo Forestale dello Stato all’interno del territorio del parco attraverso i nuclei cinofili anti-veleno;

settore monitoraggio, con competenze relative alle tecniche di monitoraggio del lupo e delle sue principali prede selvatiche. L'attività principale del settore consiste nell'assicurare l'applicazione standardizzata dei protocolli di monitoraggio della popolazione di lupo su larga scala;

settore conflitto uomo-lupo, con competenze nell' ambito della prevenzione ed accertamento dei danni alla zootecnia. I tecnici afferenti a questo settore intervengono operativamente compiendo sopralluoghi diretti sulle predazioni avvenute nelle aziende zootecniche in accordo e, quando possibile, in forma congiunta con il personale afferente all'autorità locale competente (Servizi Veterinari ASL) e hanno curato la realizzazione di moltissimi recinti fissi anti lupo, recinzioni elettrificate anti-lupo ed hanno contribuito a diffondere l’uso del cane da difesa ed in particolare della razza conosciuta come maremmano-abruzzese.

Settore informazione-comunicazione, con competenze in materia di biologia del lupo, di educazione ambientale e comunicazione informazione al pubblico. L'attività del settore è volta essenzialmente all'implementazione delle iniziative di sensibilizzazione e informazione realizzando interventi specifici, oppure supportando e coordinando le attività delle diverse iniziative (seminari, corsi di formazione, workshop, convegni, lezioni nelle scuole, campagna informativa denominata Palalupo tour, etc.)

Attualmente hanno aderito alla rete del Wolf Apennine Center molte amministrazioni provinciali, alcuni Parchi regionali dell’Emilia-Romagna, della Toscana e della Liguria, il WWF Italia, moltissime associazioni ambientaliste locali e regionali, alcune ASL con i propri Servizi Veterinari e più di recente alcuni Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) e tra questi anche gli ATC di Parma 9 e 4 ovvero gli ATC nel cui territorio si sono verificati alcuni attacchi di lupi nei confronti di cani.

A proposito dei cani ritrovati uccisi nell’area di Albareto; come intende operare il Wolf Apennine Center del Parco nazionale? Vi hanno chiesto di intervenire?

Siamo intervenuti in un’ottica di comprensione del fenomeno anche nella sue dimensioni reali e in una prospettiva di verifica della eventuale necessità di ricorrere a specifiche e legali soluzioni gestionali. Il Wolf Apennine Center del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano è impegnato da un paio di mesi, con il proprio personale, nel territorio di Albareto. Ciò è stato reso possibile grazie alla collaborazione avviata con l’ATC PR9 (primo ATC firmatario di specifica convenzione di collaborazione) e più genericamente grazie al progetto LIFE “MIRCO-Lupo”, finanziato dall’Unione Europea che vede, tra gli altri, anche il Corpo Forestale dello Stato tra i suoi partner esecutivi. In questo primo periodo di attività è stato necessario attivare uno specifico programma di monitoraggio preliminare e funzionale alle attività di cattura che avranno inizio non appena saranno verificate le condizioni idonee all’intervento. Le catture di lupi nell’area di Albareto, possibili grazie ad una specifica autorizzazione rilasciata dal Ministero dell’Ambiente al responsabile del Wolf Apennine Center del Parco nazionale, saranno finalizzate alla raccolta di informazioni essenziali per la caratterizzazione comportamentale degli animali in quell’area attraverso l’attività telemetrica e al tempo stesso ad indagare il fenomeno dell’ibridazione cane x lupo. Tutti gli interventi di mitigazione del conflitto uomo-lupo e più genericamente le soluzione ai problemi connessi alla presenza del lupo devono infatti essere affrontati con serietà, in forma coordinata e condivisa e questo indipendentemente dalle modalità e ragioni per cui il lupo è tornato in un territorio. In una prospettiva di piena condivisione dei nostri protocolli operativi da parte di tutti i gruppi di interesse abbiamo già realizzato a livello locale alcuni incontri con i cacciatori, con le istituzioni e il mondo ambientalista. Nel prossimo periodo rafforzeremo il nostro impegno su questo fronte e avvieremo il confronto a livello locale anche con la cittadinanza.

Cosa sono gli ibridi cane x lupo? E’ ragionevole ipotizzare comportamenti anomali da parte di questi animali e quindi una loro maggiore pericolosità nei confronti dell’uomo? E’ possibile che siano ibridi quelli che uccidono i cani ad Albareto?

Lupo e cane sono la stessa specie. Il cane è semplicemente la forma domestica del lupo. In condizioni di simpatria possono accoppiarsi e la prole, fertile, può a sua volta riprodursi incrociandosi tra loro o con la forma nominale. L’ibridazione cane x lupo è oggi riconosciuta come una seria minaccia per la conservazione del patrimonio genetico del lupo. Non si tratta infatti di ibridazione naturale ma di ibridazione antropogenica ovvero tra una specie selvatica e la sua forma domestica. E’ questo un importante aspetto che per troppo tempo è stato sottovalutato e trascurato a più livelli. Si ho detto sottovalutato a più livelli perché oggi in realtà è considerato uno dei problemi di conservazione della specie lupo più attuale e serio; più ancora del bracconaggio o del conflitto con la zootecnia, rispetto ai quali molto si è fatto in passato e si continua a fare oggi. Sul fronte ibridazione ci siamo invece fatti trovare complessivamente impreparati ad affrontare il problema che è un problema di conservazione della specie. Salvaguardare il patrimonio genetico del lupo è una missione che dobbiamo assumerci come parco nazionale e più in generale come paese nel rispetto delle indicazioni che abbiamo fatto avere alla Unione Europea di tutela della specie.

Per questo motivo, quando si parla di ibridi, è importante sottolineare il fatto che l’ibridazione è un problema “di natura conservazionistica” perché c’è invece chi opportunisticamente sposta l’attenzione verso una nuova forma di conflitto uomo-lupo argomentando in particolare sulla presunta maggiore pericolosità di questi ibridi nei confronti dell’uomo. Si vuole infatti associare agli ibridi comportamenti più aggressivi nei confronti dell’uomo. In realtà il comportamento degli animali è frutto in gran parte del processo di apprendimento. Gli ibridi cresciuti in natura, cioè all’interno dei branchi di lupi, si comportano come lupi. Non sanno di essere ibridi. I lupi sono infatti animali culturali per cui le nuove generazioni imparano dai genitori. Ma anche qualora i genitori fossero ibridi a loro volta, essendo stati cresciuti come lupi, insegneranno ai lori figli a comportarsi come lupi. Quindi nessun problema maggiore per l’uomo se ci sono ibridi; piuttosto è un problema per il lupo o meglio è una minaccia per la conservazione del suo patrimonio genetico. Non è quindi un problema di “comportamento anomalo” di questi animali, aspetto assolutamente da indagare e monitorare nelle aree di presenza dell’uomo, ma è un problema di altra natura ovvero di possibile affermazione di caratteristiche meno adatte alla vita selvatica perché le tipicità delle diverse razze di cani le abbiamo forgiate per rispondere ad altre esigenze: forza, carattere, dimensione e bellezza che nulla o ben poco hanno a che fare con la selezione naturale e la vita allo stato selvatico. Sono piuttosto i fenomeni di abituazione tra questi animali selvatici e l’uomo che vanno scongiurati e ciò indipendentemente dal loro patrimonio genetico!

Un’ultima domanda. Ci sono troppi lupi? In altre parole è ragionevole ipotizzare un controllo della specie?

E’ una affermazione ambigua. Troppi rispetto a cosa? A quelli che vorrebbero che ci fossero i pastori? Allora la risposta è assolutamente si. I pastori non vogliono i lupi . Molto probabilmente anche un solo lupo sarebbe di troppo. Ce ne sono troppi rispetto a quelli che vorrebbero gli animalisti? Non credo che possiate trovare anche un solo animalista disposto a dichiaralo. Ce ne sono troppi rispetto a quelli che vorrebbero i cacciatori? In questo caso molto dipende dall’andamento dei carnieri oppure, come nel caso di Albareto, dal comportamento predatorio di questi animali. Se i carnieri sono soddisfacenti allora la presenza del lupo è tollerata. Se i carnieri sono modesti o alcuni cani da caccia vengono predati dai lupi allora la presenza di questa specie non lo è più. Da un punto di vista biologico invece l’affermazione non ha senso. Non c’è un solo lupo in più rispetto a quelli che il nostro ambiente naturale può sostenere. E’ una semplice regola con la quale fanno i conti i superpredatori. Diverso è invece domandarsi se è giusto (nel senso di opportuno) che il lupo sia presente anche in pianura padana ovvero in contesti fortemente antropizzati. In altre parole, è legittimo domandarsi se è conveniente, ai fini della conservazione della specie, mantenere pochi lupi in contesti marginali (alta pianura e pianura) oppure i rischi associati alla presenza di questi animali in tali contesti siano eccessivi e tali per cui si possa mettere a repentaglio la sopravvivenza di questa specie anche in contesti decisamente più idonei alla loro presenza. Probabilmente il fronte ambientalista/animalista non accetterebbe mai un simile modo di ragionare (ma questo è assolutamente normale), ma qualora si potesse dimostrare che i rischi reali associati alla presenza di questi animali sarebbero eccessivi e tali da compromettere la sopravvivenza della specie nel suo complesso allora sarebbe ragionevole prendere una decisione in tal senso. Ovvio che quest’argomentazione non può essere in alcun modo argomentata per il caso di Albareto che va affrontato in un’ottica differente ovvero di dissuasione nei confronti del comportamento predatorio rivolto ai cani.

Willy Reggioni, responsabile Wolf Apennine Center del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano.
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Un parco tra Europa e Mediterraneo

L'Appennino che si innalza tra il mare di Toscana e la pianura dell'Emilia, respira le arie dell'Europa e quelle del Mediterraneo.
Il Crinale corre sul filo dei 2000 metri.
È un sentiero, sospeso tra due mondi che nelle 4 stagioni cambiano, ribaltano e rigenerano i colori, le emozioni, i profumi e le prospettive.
Si concentra qui gran parte della biodiversità italiana favorita dalla contiguità della zone climatiche europea e mediterranea.
Oggi sempre di più sono turisti ed escursionisti, con gli scarponi, con i bastoni, con le ciaspole o i ramponi, con gli sci e con le biciclette. Ognuno può scegliere il modo di esplorare questo mondo, da sempre abitato e vissuto a stretto contatto con la natura e le stagioni che dettano ogni giorno un'agenda diversa.

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